Che cos’è il Philosophical Counseling
Menade danzante – di Skopas
Gerd B. Achenbach, filosofo tedesco nato ad Hamelin nel 1947, fonda nel 1981 la Philosophische Praxis (Pratica Filosofica).
Scrive in proposito Achenbach:
«la filosofia non più o non ancora pratica sopravvive in un ghetto accademico, dove ha perduto il rapporto con qualsiasi problema che opprime realmente gli uomini. Questa alienazione, che produce sterilità nella filosofia e perdita di senso nella vita quotidiana, viene superata dalla Philosophische Praxis».
Achenbach decide d’ intraprendere la strada della Philosophische Praxis spinto dall’insoddisfazione nei confronti della filosofia accademica, da lui accusata di essersi eccessivamente astratta dal mondo reale, chiudendosi in percorsi di studio ad uso e consumo dei soli filosofi.
Un’ altra ragione spinge Achenbach a dar vita a questa nuova pratica professionale: l’insoddisfazione nei confronti delle professioni di aiuto, ancorate al paradigma strumentale o terapeutico.
Successivamente la Philosophische Praxis si diffonde come Philosophy Practice e poi come Philosophical counseling in Olanda, Austria, Norvegia, Svizzera, Francia e Israele. Nel 1992 approda negli USA e nel 1998 in Gran Bretagna. Nel 1999 arriva in Italia e nei primi anni del 2000 in Spagna.
Il Philosophical counseling è innanzi tutto un dialogo filosofico tra il counselor e il suo consultante. Il processo dialogico, che fonda le proprie radici nella maieutica socratica, parte dalla narrazione delle difficoltà del consultante, ma non mira a risposte risolutive, bensì alla ricerca di diverse modalità di pensare il mondo.
Il Philosophical counseling consiste nell’applicazione di un insieme di tecniche, abilità e competenze tese a facilitare l’uso delle risorse individuali nella gestione di un problema che crea disagio esistenziale o di relazione, per realizzare la propria crescita personale. Il rapporto di counseling si struttura come relazione di aiuto non direttiva, fondata su un ascolto attivo ed empatico che, in un clima di attenzione e di rispetto, favorisce le abilità di controllo delle situazioni di disagio.
Il Philosophical counseling non opera consulenza, sostegno, diagnosi o interventi di tipo psicologico, né tantomeno una «guarigione» nel consultante: il counselor interviene su persone sane e non è abilitato a cure di nessun tipo. Chi si rivolge al counselor non è solo colui che vive un particolare disagio esistenziale, ma anche colui che semplicemente vuole aumentare le proprie capacità comunicative, relazionali ed emotive in merito all’attività che svolge e che intende quindi migliorare le proprie performance.
Il Philosophical counseling si fonda dunque su un approccio culturale a ogni problematica. Il counselor prende parte alla ricerca alla pari del consultante; egli stesso, nel dialogo, mette alla prova le sue idee, le sue teorie, la sua visione del mondo. Per tali ragioni non ha nulla da «insegnare» al consultante, né ha la pretesa di risolvere definitivamente un problema.
«Il filosofo non è necessariamente chiamato a rendere migliori le cose o ad aiutare a eliminare i problemi, ma piuttosto a renderli comprensibili nella loro complessità, in modo che l’altro possa vivere con essi, piuttosto che contro o a dispetto di essi». (Petra von Morstein).